
Io
so perché la Rai non riesce a ripartire dal Servizio pubblico. Io so come mai
il suo esercito di quasi 12 mila dipendenti è a dir poco sfiduciato, depresso,
o spesso addirittura nullafacente o mobbizzato. Io so perchè i denari del
canone fanno gola a tanti e in tanti ci immergono le mani. Io so tutto questo,
proprio tutto. E conosco anche i nomi. I
nomi, i cognomi e le varie sigle di chi l'ha consumata, la nostra Rai. Di chi
l'ha ridotta come un calzino rivoltato, pur di quelli buoni ma sempre e soltanto
rivoltato e liso in più parti.
Partiamo
dai contenuti, costantemente influenzati dalle pressioni della politica di
qualsiasi origine, bandiera e grado. E per contenuti si intende tutto ciò che
va in onda nelle reti e nel
multimediale.
Per
statuto ogni manciatina d'anni alla Rai viene designato un nuovo Ceo e relativo
fiammante Cda. Non parliamo poi delle leggine fatte ad hoc per garantire sempre
alla politica il comando. Ne ricordiamo alcuni di Cda, con vertici dai nomi che
hanno fatto la storia non edificante del Servizio pubblico : da Cattaneo a Masi, quello sbeffeggiato in diretta da
Michele Santoro; da Saccà a Alfredo Meocci, colui che costò ai contribuenti diversi milioni perché ineleggibile:
veniva dall'Agcom, sotto la cui sorveglianza vi è appunto Rai. Perché dopo
quello dei 'professori' con Letizia Moratti presidente, l'ultimo forse meno
dipendente in toto dalla politica, in Rai è stata vera e propria invasione:
Ulivo, Ds, Pd, Msi e poi An e poi ancora Forza Italia e Fratelli d'Italia
e Lega uno e Lega due. Oggi come
sappiamo bene al governo coi 5 Stelle.
E
capitava che ognuno, mentre metteva dentro i propri, che tra l'altro poco o
nulla avevano quasi sempre a che fare con le professionalità richieste,
blaterasse di lottare per una Rai fuori dalle pressioni dei partiti, accusando
per contro i dirimpettai di occuparla militarmente. Uno spettacolo indecente
che si è perpetrato per decenni e che di volta in volta ha reso l'azienda più
fragile, più vulnerabile. In una redazione storica come Linea Verde, ad
esempio, cerano periodi che tra il figlio della segretaria particolare di
Licio Gelli tal Gianluca Ciardelli, improvvisato autore, fratelli sorelle parenti di importanti
politici del momento o uffici stampa del ministro di turno o ancora starlette
buone solo per il letto, si finiva per perdere il conto. Nonostante tutto ciò e
molto altro che voi umani neppure immaginate, miracolo dei miracoli, lazienda
di Stato è sempre rimasta in piedi. Grazie soprattutto ai suoi dipendenti.
Anzi, in alcune occasioni la tivù di Stato ha mandato in frantumi la
concorrenza, eppure il più delle volte ha subito pesantemente gli occupanti di
turno. Da Veltroni a Renzi, per parlare solo di big passando da Berlusconi
che la colonizzò, l'azienda pubblica, infarcendola di dipendenti Mediaset,
ovviamente piazzati nei luoghi strategici per gli interessi dellex Cavaliere. Oggi
tocca alla Lega e alle destre di governo fare strike. Peggio per il Servizio
pubblico, propagandato a pieni schermi, sì, in realtà per nulla frequentato. Questa e la tivù pubblica, bellezza.
Costume consolidato e apprezzato tra vertici e alte sfere. La malapianta. Che
si racconta anche parlando di noi, noi fissi, col culo al caldo pensano
tutti. E invece no, perché la maggior parte di quella pletora di colleghi, più
o meno dodicimila senza indotto, prende una media di 1700 euro dopo una ventina
danni di lavoro altamente specializzato, nelle produzioni o negli uffici,
nelle redazioni o nelle regie. Mentre sono decine e decine i milioni che si
spendono per un nome o per laltro. Per un target o laltro.
Ma
come fa una macchina che macina decine di migliaia di ore ore di messa in onda allanno a
stare al passo coi tempi, con le nuove tecnologie e la liquida società con cui
abbiamo a che fare? Negli anni, nei decenni si può tranquillamente affermare,
la macchina del personale, lorganizzazione del lavoro, la assurda mole
burocratica di firme mail carte cartine e cartoni, è ferma allanno Mille.
Decine e decine se non centinaia di colleghi sono oggi quasi totalmente tenuti da
qualche parte a non far nulla, migliaia sono i sottoutilizzati, decine e decine
i mobbizzati e così via. Un popolo di senza terra ormai, depressi e arrabbiati,
altro che mamma Rai.
Sentite
questa che è lo specchio del resto. RaiDue ha due registi interni capaci di
gestire prime serate ed esterne complesse. Gente che nel curriculum annovera
programmi che hanno fatto la storia della Rai. Uno non lavora da oltre due
anni. Ma non lavora non lavora, nel senso che va, striscia il badge, fa le sue
otto ore e mezza davanti a un pc o al telefono, nel migliore dei casi, e poi
torna a casa. Così tutti i giorni. Laltro invece è più fortunato: in quattro
anni alcuni mesi è riuscito a sfangarla lavoricchiando un pò. Perché per certe
dirigenze è più importante ungere a destra e a manca allesterno e reperirlo lì
il professionista di turno. Così si garantisce la continuità nellinteresse
privato o di casta e i soldi girano. Oppure, come nel mio caso, dopo circa 27
anni passati a firmare programmi e filmare in mezzo mondo, dalle catastrofi
naturali alle criticità sociali, solo perché non ti va più di girati dallaltra
parte e denunci internamente il malaffare, capita che ti ritrovi in qualche
Cayenna attrezzata a farti impazzire per mesi e mesi. Così va il mondo. Più o
meno dappertutto.
Luciano
Flussi è il plenipotenziario del Ruo. A singhiozzo da almeno una ventina
danni. In Rai il Ruo sovrintende a tutto ciò che ci siamo appena detti, dalla
gestione delle risorse umane allorganizzazione generale. Lui è un senza
quota, nel senso che appartiene a quel partito Rai, sempreverde e
trasversale, che se i governi traballano o i nuovi vertici come spesso accaduto
non sono allaltezza, prendono il comando, contattano, contrattano, commerciano,
si promuovono e cercano di garantire una solo apparente pax aziendale che però
si concretizza nelle numerosissime cause di lavoro intentate da dipendenti e
quasi sempre vinte. Con milioni e milioni degli abbonati buttati nel cesso.
Tanto non sono loro. Roba da chiodi, eppure va cosi. E i flussi, nonostante i
mille dossier che giurano nefandezze sul
loro conto, diventano sempre più potenti anche se a ridosso della pensione. Che
porterà in dote qualche milioncino e magari
li potrà anche vedere, come accaduto, gestire qualche produzione esterna o ufficio
di idee e commerci audiovisivi vari. Come potrebbe capitare pure a Francesco Pinto,
altro unicum di longevità nel ruolo: direttore per 23 anni più o meno. Del Cptv
di Napoli, un centro di produzione fiore allocchiello dellazienda, inaugurato
da Amintore Fanfani nel 63, unico polo di Servizio pubblico radiotelevisivo e
multimediale di tutto il Mezzogiorno. Che però non produce più da almeno 15, 20
anni. Che da oltre 900 dipendenti è sceso a 400 e si limita a coprodurre il
grosso con appalti e multinazionali, vedi il fortunato Un posto al sole, soap più vista, più longeva e
apprezzata nel panorama italico di ieri e di oggi
.
1 continua
Stefano Mencherini, giornalista indipendente e regista Rai
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